L’Italia deve investire nell’insegnamento dell’inglese

Quanto conoscono l’inglese i giovani italiani? Il fatto che gli italiani, forti della lunga tradizione letteraria che ne ha determinato la fortuna, siano molto più attaccati alla propria lingua madre ha ora una solida base scientifica. Nella terza edizione della classifica EPI (English Proficiency Index) sulla conoscenza dell’inglese da parte di 60 Paesi del mondo, l’Italia si posiziona infatti al 32esimo posto dopo Uruguay, Sri Lanka e Russia.

Fanalino di coda fra gli Stati europei (dopo l’Italia c’è solo la Francia), il nostro Paese stenta ancora ad aprirsi completamente all’uso della lingua inglese, malgrado l’interesse che dimostra verso settori come la musica e la politica straniera. La classifica di EF (Education First) rilasciata ufficialmente sul sito Englishtown, fondata su  test effettuati su 750.000 adulti provenienti da 60 paesi nell’arco di tempo di sei anni (2007-2012), rivela anche come ci sia una forte correlazione tra la conoscenza della lingua da parte della forza lavoro di una nazione e le prospettive economiche del Paese stesso.

Una scoperta, questa, che potrebbe illuminare i futuri scenari socio-economici dell’Italia nel momento in cui, per un’ottimale comunicazione col resto del mondo, venisse incentivato l’insegnamento della lingua inglese. «L’impatto economico di tale programma coordinato è evidente», sostiene infatti il Dott. Christopher McCormick, responsabile degli affari accademici di EF e della rete di ricerca universitaria.

L’inglese è poi la lingua del marketing, delle scienze, della finanza, della medicina e della tecnologia; è una lingua che, in virtù dell’ampio uso sul web, negli scambi di lavoro e nelle relazioni personali internazionali, apre un ventaglio infinito di opportunità nel mondo del lavoro, non solo all’estero ma anche in Italia stessa. Paesi asiatici come Malesia, Singapore, Corea del Sud, Indonesia, Vietnam, Hong Kong SAR e India hanno modificato in meglio negli ultimi di sei anni la loro conoscenza della lingua inglese;

Paesi del BRIC (Brasile, Russia, India, Cina) appaiono anch’essi in crescita negli investimenti per il miglioramento delle competenze linguistiche. La maggior parte dei Paesi europei è già competente in inglese o sta procedendo col vento in poppa verso quell’obiettivo: è il caso, ad esempio della Polonia e dell’Ungheria. Il podio lo detengono Svezia, Norvegia e Olanda, mentre perdono posizioni l’Italia e la Francia.